Andrea Pedrini: L’AI nelle Risorse Umane cerca talenti, ma il fattore umano resta fondamentale
L’intelligenza artificiale sta diventando una componente imprescindibile delle nostre vite – e il settore delle risorse umane non fa eccezione. In che modo l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo di selezionare i talenti? Perché l’Europa è più cauta rispetto agli Stati Uniti nella sua regolamentazione? E qual è l’approccio delle aziende italiane? Ne abbiamo parlato con Andrea Pedrini, esperto italiano di HR e tecnologie, che aiuta le imprese a sfruttare al meglio gli strumenti digitali.
L’AI è uno dei temi centrali di oggi e influenza ogni aspetto della nostra vita – soprattutto il modo in cui la utilizziamo e impariamo a interagirci. Anche Lei ha questa visione?
Usiamo l’AI ogni giorno – spesso senza nemmeno rendercene conto. È fondamentale capire come utilizzarla e quale tipo di intelligenza artificiale impiegare, perché non tutti gli strumenti sono uguali: alcuni comportano dei rischi, altri sono invece estremamente potenti e utili. E ovviamente questo vale anche per il nostro lavoro, compreso il settore delle risorse umane. Anche gli esperti HR devono comprendere a pieno che l’AI è uno strumento potente e in continua evoluzione.
Oggi si parla soprattutto di intelligenza artificiale generativa, ma esistono anche altri approcci – come il machine learning o il deep learning. È qualcosa che sottolineo spesso anche nei miei interventi sul tema tecnologia. È importante far capire a chi lavora o lavorerà nelle risorse umane che, anche se può sembrare un mondo sconosciuto, non bisogna averne paura. Serve invece imparare ad usare questi trumenti per sfruttarne il potenziale in modo efficace.
L’Italia ha un approccio piuttosto particolare all’AI e alla protezione dei dati personali. Avete anche un’autorità dedicata, il GPDP. Ci sono regole specifiche o limitazioni legali da tenere presenti?
Il GDPR impone già alcune limitazioni. L’articolo 22.1, ad esempio, limita l’uso dell’AI per valutazioni continue ed automatizzate, come i sistemi di confronto senza supervisione umana. In Italia, però, il livello di attenzione è ancora più alto, e credo che la base dell’AI Act europeo sia stata gettata proprio da qui.
Nel nostro Paese è difficile impiegare l’intelligenza artificiale in contesti soggettivi o interpretativi. Facciamo un esempio: se durante un colloquio l’AI analizzasse le espressioni facciali per giudicare se la persona è “buona” o “inadatta” in base ai gesti o al tono di voce, questo creerebbe grossi problemi.
Anche in Germania ci sono restrizioni simili, ma tutto dipende dal tipo di utilizzo. Per esempio, non ci sono grandi limiti nell’uso dell’intelligenza artificiale generativa, che può essere impiegata da chiunque. Diverso è il caso di valutazioni soggettive, che invece sono molto più delicate.
Parlando di AI generativa, pensiamo ad un esempio concreto: realizziamo un video in inglese, poi con l’intelligenza artificiale traduciamo l’audio in italiano e lo sincronizziamo sulla persona originale. Come viene visto in Italia questo tipo di utilizzo?
Da un punto di vista legale, non ci sono grandi problemi nell’utilizzare l’AI generativa in questo modo. La questione è più culturale: conta molto come si parla dell’AI e come viene percepita dalla gente. La legge non pone limiti diretti, ma la reazione delle persone può variare in modo significativo.
Tutto dipende dal contesto. L’AI può essere utilizzata in modo positivo o negativo. Basta guardare TikTok o altri social: ci sono video in cui un presidente americano “dice” cose che non ha mai detto. Questo tipo di contenuti, ovviamente, genera preoccupazioni legittime.
La potenza e le potenzialità dell’AI fanno sorgere timori legati agli abusi e pongono interrogativi sui limiti da imporre. Ed è molto difficile esercitare un controllo totale: spesso è complicato distinguere una notizia vera da una falsa. L’AI è facilmente manipolabile e alimenta il fenomeno delle fake news.
Qual è l’approccio delle aziende italiane rispetto all’intelligenza artificiale? ChatGPT, ad esempio, è stato bloccato per un certo periodo. Questo ha influenzato l’integrazione dell’AI nei software e nei processi aziendali?
Sì, molte aziende, ad esempio, utilizzano ChatGPT solo internamente, con sistemi protetti e ambienti separati. Altre, invece, non pensano minimamente alle possibili conseguenze dell’uso all’esterno. Ovviamente, tutte le aziende vogliono integrare l’AI e ne riconoscono il potenziale nell’uso quotidiano. Allo stesso tempo, però, devono affrontare anche molte criticità legate ai processi.
Nelle grandi aziende esistono team dedicati che stabiliscono le regole: “Ok, questo si può fare, questo no”, oppure segnalano eventuali problemi in relazione all’AI Act. Oggi questo tema è al centro dell’attenzione, poiché dal 2026 entrerà pienamente in vigore e ci troviamo in una fase di preparazione particolarmente intensa.
L’intelligenza artificiale è diventata l’argomento prioritario. Basti pensare a due anni fa, quando il Metaverso era al centro del dibattito: oggi se ne parla molto meno, mentre l’attenzione si è spostata quasi interamente sull’AI generativa, che tutte le aziende stanno cercando di integrare al meglio.
Inoltre, l’AI generativa è generalmente accolta in modo positivo dal mondo imprenditoriale. In ambito HR, in particolare, può contribuire a rendere più efficienti numerosi processi: dalla redazione delle job description, alla raccolta e analisi dei dati, fino alla standardizzazione delle attività in diversi reparti.
Anche noi di Sloneek lavoriamo la nostra intelligenza artificiale. E in Repubblica Ceca, presso le aziende più importanti, sta diventando la norma. Esistono team dedicati, si sviluppano AI interne e si lavora con database personalizzati. Sta accadendo lo stesso anche in Italia?
Sì, assolutamente. Ovviamente non in tutte le aziende: quelle più piccole tendono ad affidarsi a strumenti come ChatGPT. Le AI interne sono sviluppate principalmente dalle aziende che hanno team IT strutturati e le competenze per mantenere e sviluppare sistemi propri – come nel caso delle banche, ad esempio Generali.
Un sistema interno ha però anche dei limiti: avendo accesso a meno informazioni, la sua capacità di generare contenuti può essere più ridotta.
Oltre alle grandi aziende, anche le PMI italiane si stanno interessando molto all’intelligenza artificiale, soprattutto in ambito HR. L’obiettivo è chiaro: ottimizzare i processi, ridurre i costi, migliorare l’efficienza in generale.
Quando parliamo con una grande azienda, il tema AI è sempre presente sul tavolo: discutiamo su come implementarla o come la stanno sfruttando attualmente. Le piccole e medie imprese, invece, sanno che è una tecnologia scalabile – e quindi, con il tempo, anche i costi si abbasseranno e diventerà più accessibile.
L‘AI è un tema globale e la sua adozione segue dinamiche simili in tutto il mondo.
Sì, anche se non credo che la situazione sia uguale ovunque. Negli Stati Uniti, ad esempio, c’è un approccio più “pragmatico”: provano uno strumento, e se non funziona o crea problemi, lo abbandonano. In Europa, invece, si tende a valutare tutti i rischi ancora prima di iniziare ad usarlo. Si tratta di un approccio in pieno stile europeo. Anche in Cina, mi pare, la filosofia è più libera: fondamentalemente puoi usare gli strumenti che desideri. L’Europa, da questo punto di vista, è decisamente più conservatrice.
In Repubblica Ceca, soprattutto a Praga e nelle grandi città, l’adozione dell’AI avanza rapidamente. Ma se guardiamo alle zone più piccole e alle microimprese, l’AI è ancora poco diffusa e l’interesse sta nascendo ora. È lo stesso anche in Italia?
Direi proprio di sì. E sono convinto che nei prossimi uno, cinque, dieci anni assisteremo a cambiamenti tecnologici molto rapidi nel settore HR, spinti dalla digitalizzazione.
L’AI rappresenta una straordinaria opportunità. È vero, si evolve ad un ritmo vertiginoso, ma se vogliamo coglierne i benefici, dobbiamo essere veloci anche noi. Non è facile; l’essere umano è per natura analogico, ma è arrivato il momento di trasformarci in esseri digitali. Non è semplice, ma è la strada giusta.
L’Italia, ad esempio, sta investendo molto nel miglioramento dell’infrastruttura e nella diffusione della connettività, aprendo così nuove opportunità anche per l’impiego dell’intelligenza artificiale. Il progresso nella digitalizzazione è evidente. Dove prima c’erano carta e penna, ora ci sono smartphone e tablet, e nel settore commerciale questo ha fatto una grande differenza.
Un altro punto cruciale è il potenziale dell’AI predittiva: la capacità di anticipare i prossimi passi grazie all’analisi dei dati.
Parliamo ora di come l’intelligenza artificiale vi stia aiutando nei processi delle risorse umane. In Sloneek, per esempio, la usiamo soprattutto per l’onboarding, l’analisi dei CV, etc. Come viene impiegata l’AI nei dipartimenti HR in Italia?
Ho collaborato con un’azienda che utilizzava algoritmi di matching sui portali relativi alla carriera, per aiutare i candidati a trovare le posizioni più adatte grazie all’intelligenza artificiale.
E naturalmente funziona anche al contrario: se apri una selezione e ricevi centinaia di curriculum, l’AI ti aiuta a confrontare i dati e identificare i profili migliori.
Questo tipo di tecnologia è ormai adottato da molte aziende: in certi casi funziona molto bene, in altri meno. Vale la regola generale del mercato: alcuni progetti riescono meglio di altri.
La vera svolta che noto oggi è il passaggio dal machine learning al deep learning. Le grandi aziende iniziano ad apprezzare proprio questo approccio, perché dà risultati immediati. Tutte stanno puntando sull’AI generativa basata su deep learning, soprattutto nelle prime fasi del processo, come l’acquisizione dei talenti.
Questo ci porta ad un problema attuale che stiamo affrontando in Italia e che, probabilmente, riguarda tutta l’Europa: la carenza di personale e la mancata corrispondenza tra competenze richieste e competenze disponibili.
Il numero di candidati adatti sta diminuendo: abbiamo raggiunto un picco e ora la curva è in calo. Meno persone significa anche meno persone di qualità, semplicemente per una questione di proporzione.
È per questo motivo che le aziende e gli esperti delle risorse umane si affidano sempre di più all’AI, per individuare talenti anche all’interno dell’organizzazione. Spesso non è necessario rivolgersi al mercato esterno: basta cercare all’interno. La mappatura delle competenze consente di identificare con maggiore precisione i talenti già presenti e di trovare più facilmente il candidato ideale.
È un problema che abbiamo anche in Repubblica Ceca.
Sì, credo che riguardi l’intera Europa. In India o in Cina il problema non esiste – lì si tratta soprattutto di una questione quantitativa. E, in parte, anche del tipo di formazione: abbiamo tantissimi avvocati e giuristi, ma ci mancano ingegneri. È uno dei fattori che crea disallineamento. La soluzione non è semplice, ma l’AI può dare un contributo concreto.
Ci sono ambiti delle risorse umane in cui l’intelligenza artificiale non può essere implementata?
Dal mio punto di vista sì, perché parliamo di risorse umane e l’aspetto “umano” è fondamentale. Possiamo usare strumenti per l’analisi dei dati, ma alla fine resta sempre l’interazione tra HR e le persone. Questo lavoro si basa sulla relazione, ed è una dimensione che non si può eliminare. Credo che su questo ogni esperto sia d’accordo.
L’intelligenza artificiale può aiutare a costruire un processo, ma la capacità di capire se una persona è adatta ad un ruolo, o se sta vivendo una difficoltà in azienda, è qualcosa che richiede sensibilità umana, non tecnologia.
L’influencer italiano Marco Montemagno afferma che il prossimo “unicorno” sarà un’azienda capace di generare enormi profitti con una sola persona al suo interno. Ogni processo, ogni sistema sarà gestito dall’intelligenza artificiale. Secondo lui, nei prossimi dieci anni questo sarà il nuovo paradigma: un’impresa senza dipendenti, dove tutto funziona grazie alla tecnologia.
Com’è fatta una buona implementazione dell’intelligenza artificiale in azienda?
Secondo me, si concentra prima di tutto sulla ricerca dei talenti. L’AI generativa viene usata per supportare e velocizzare la produzione delle informazioni utili nei processi HR. Oggi, molte aziende l‘impiegano per confrontare dati e abbinare in modo più preciso i candidati alle posizioni aperte.
Come preparare i collaboratori all’utilizzo dell‘intelligenza artificiale? Capita spesso che le persone più esperte, con più anni di carriera alle spalle, siano quelle più restie ad adottare nuove tecnologie. C’è chi resta legato ai vecchi fogli Google e rifiuta di usare strumenti moderni come Sloneek. Cosa ne pensa?
Anch’io, all’inizio, usavo Excel prima di passare a un ATS. Cambiare non è mai facile: le persone temono di non capire il nuovo strumento, o semplicemente non vogliono uscire dalla propria comfort zone. Ma l’apprendimento continuo è parte del nostro lavoro, e vale anche per le aziende: se ti fermi, il mercato ti supera.
Bisogna affrontare il cambiamento senza paura, ma con consapevolezza – solo provando puoi capire cosa funziona per te. E mentre tu aspetti, magari un tuo competitor ha già implementato quella tecnologia e ha fatto un salto avanti.
Lei personalmente come utilizza l’intelligenza artificiale?
La utilizzo regolarmente. Devo imparare e capire come funziona, anche perché in certi casi vendo soluzioni basate sull’AI. Lavoro per un’azienda italiana che ha acquisito una tecnologia spagnola di intelligenza artificiale.
L’AI mi aiuta a presentare soluzioni ai clienti e, alla fine, la uso molto più di quanto potessi immaginare: è integrata in tanti strumenti che impieghiamo quotidianamente, anche se spesso non ce ne rendiamo conto.
Quando è alla ricerca di risposte, usa più Google o ChatGPT?
Sinceramente, ancora Google. Ma uso anche ChatGPT o altri strumenti come, ad esempio, Genesis, per creare contenuti video semplici, scrivere bozze o preparare presentazioni.